Il diritto all’acqua

1. I passaggi fondamentali della storia del diritto ambientale dalle origini alla Costituzione della Repubblica

Storicamente la questione ambientale nasce, come problema di igiene urbana, nelle città dell’Impero romano e raggiungere, poi, apici preoccupanti nelle città industriali del Settecento. Con l’avvento dell’industrializzazione, infatti, la questione ambientale si arricchisce di nuovi contenuti, quali ad esempio la tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro e le prime forme di inquinamento dell’aria.

In realtà, la questione ambientale è molto complessa. Essa, infatti, riguarda oltre le problematiche legate agli aspetti igienico-sanitari degli insediamenti urbani, anche quelle relative:

  • alla progressiva riduzione delle risorse naturali non rinnovabili (es. petrolio, carbone);
  • alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti;
  • all’accesso solo da parte di alcuni individui ai beni naturali necessari (es. acqua, petrolio).

Tuttavia, la questione ambientale emerge, prima a livello sociale e poi giuridico, soltanto negli anni ’60 grazie a due significative pubblicazioni sul tema (Primavera silenziosa di R. Carson e I limiti dello sviluppo di D. Meadows) e alla nascita delle prime organizzazioni ambientaliste: in particolar modo, in questi anni, viene messa in discussione la visione antropocentrica dell’ambiente che stabilisce la superiorità dell’uomo rispetto alla natura. Pertanto criticare tale visione, che ha guidato, quasi da sempre, l’organizzazione delle attività economiche, significava sferzare un duro attacco ai modelli produttivi di questo periodo storico, secondo i quali la crescita economica è potenzialmente senza limiti e dipende esclusivamente dal progresso tecnologico. Fino agli anni ’60, quindi, la fiducia cieca nell’uomo e nelle sue leggi aveva alimentato la convinzione che il mercato e il progresso avrebbero autonomamente e automaticamente risolto anche i problemi ambientali. Invece, gli autori di cui sopra e le associazioni ambientaliste affermarono la necessità di intervenire per imporre dei limiti all’azione dell’uomo tutte le volte che questa metteva a repentaglio l’equilibrio dell’ambiente.

Il primo intervento istituzionale in materia ambientale risale al 1972 ed è la “Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano” in occasione della Conferenza tenutasi a Stoccolma: si tratta del primo atto ufficiale di politica ambientale. Per politica ambientale s’intende l’insieme degli interventi posti in essere da autorità pubbliche e da soggetti privati al fine di disciplinare le attività umane che riducono le disponibilità di risorse naturali o ne peggiorano la qualità e la fruibilità

Un altro passo fondamentale verso l’affermazione di una politica ambientale è rappresentato dalla istituzione, da parte dell’ONU, nel 1983, della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (WCED), alla quale si deve il “Rapporto Brundtland” che contiene la coniazione di un’espressione oggi entrata nel linguaggio comune: “sviluppo sostenibile”. Per sviluppo sostenibile s’intende uno sviluppo che consenta di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni. Le risorse naturali, infatti, rappresentano una dotazione accumulatasi nel corso di un tempo lunghissimo e tale patrimonio passa in eredità da una generazione all’altra: abbiamo ereditato le risorse di cui oggi disponiamo dalla generazione che ci ha preceduto, così come quella futura erediterà i nostri mezzi. Inoltre, la questione ambientale non ha confini geografici, perché i danni ambientali che si verificano in una parte del mondo causano effetti negativi ovunque: quindi i problemi ambientali sono problemi globali.

In Italia la tutela dell’ambiente è un’esigenza relativamente recente, considerato che la Costituzione Italiana non conteneva, nel suo impianto originario, alcuna norma espressamente riferita all’ambiente.

Nell’ordinamento italiano non esiste, tuttora, una definizione di ambiente; tuttavia, nella Costituzione repubblicana ci sono alcuni articoli che, secondo la giurisprudenza, garantiscono indirettamente la tutela dell’ambiente. Si tratta degli artt. 9, 32, e 44 Cost.:

  1. a) tutela del paesaggio: il concetto di ambiente è stato indirettamente identificato con quello di paesaggio, tutelato dall’art. 9 della Costituzione;
  2. b) salubrità dell’ambiente: l’art. 32 della Costituzione prevede i principi a tutela della salute dell’uomo;
  3. c) tutela del territorio: l’art. 44 della Costituzione impone obblighi e vincoli alla proprietà per il razionale sfruttamento del suolo.

In seguito, la riforma del Titolo V della Costituzione (operata con legge costituzionale n. 3/2001), ha introdotto un cambiamento rilevante riguardo alla tutela dell’ambiente:

  • l’art. 117, secondo comma, lett.s, Cost., nell’operare una ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, indica espressamente, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” ;
  • l’art. 117, terzo comma, Cost., nell’elencare le materie di competenza legislativa concorrente, richiama alcuni ambiti strettamente collegati all’ambiente (ad esempio: governo del territorio, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali).

La novità della riforma costituzionale è sicuramente dirompente, in quanto per la prima volta compare nel testo costituzionale un riferimento espresso alla categoria giuridica dell’ambiente.

Un altro passo importante è costituito dalla Legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’Ambiente. Viene creata, cioè, una struttura amministrativa “dedicata” alla tutela dell’interesse ambientale, la quale costituisce un punto di riferimento per tutte le problematiche ambientali.

In Italia, infine, il diritto ambientale trae origine soprattutto dalla disciplina comunitaria. Infatti, i principi del diritto ambientale italiano, contenuti nel Testo Unico Ambientale (D. lgs. 152/2006), discendono direttamente dal legislatore comunitario. Si tratta dei principi dello sviluppo sostenibile, di precauzione, dell’azione preventiva, di informazione e partecipazione e del “chi inquina paga”.

2. L’importanza fondamentale del diritto all’acqua.

Il diritto all’acqua è un’estensione del diritto alla vita, introdotto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948. Tale Dichiarazione non disciplina il diritto all’acqua, perché ha la finalità di  tutelare i diritti civili e politici. Solo nel 2010 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha finalmente riconosciuto l’acqua come diritto umano. Questo riconoscimento è il risultato di un lungo dibattito a livello internazionale, le cui tappe fondamentali sono le seguenti:

  1. anni ’70: prima emerse nei dibattiti della dottrina internazionale una nuova categoria di diritti, i “diritti di terza generazione”, definiti anche diritti di solidarietà, ovvero quei diritti riconosciuti come necessari per promuovere l’eguaglianza sociale: sono tali i diritti economici, sociali e culturali. Successivamente si giunse al primo riconoscimento ufficiale del diritto all’acqua nel 1977, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite a Mar del Plata (Argentina) nella quale i Paesi partecipanti si occuparono, fra l’altro, proprio dei problemi relativi all’accesso alle risorse idriche nel mondo: il diritto all’acqua viene esplicitato nel documento finale della Conferenza, il quale è un atto meramente programmatico, non essendo vincolante nei confronti dei Paesi partecipanti;
  2. anni 2000: il Parlamento europeo, nel 2003, approva all’unanimità una risoluzione sulla gestione delle risorse idriche nei Paesi in Via di Sviluppo” affermando, per la prima volta, che “l’accesso all’acqua potabile pulita, in quantità e qualità congrue, costituisce un diritto umano fondamentale e ritiene che i governi nazionali hanno il dovere di adempiere a questo obbligo”. In più, sottolinea che “l’erogazione dell’acqua andrebbe intesa essenzialmente quale servizio pubblico e pertanto organizzata in modo da garantire un accesso a tariffe abbordabili per tutti”. Ma, anche in tal caso, si tratta di un atto non vincolante.
  3. Il 28 luglio 2010, infine, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione 64/292 che dichiara “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano, essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. Inoltre, poiché secondo il predetto atto giuridico, l’acqua è un bene vitale, essa dovrebbe essere trattata diversamente rispetto agli altri prodotti del libero mercato, cioè dovrebbe essere svincolata dalle logiche economiche. La risoluzione di cui sopra, poi, rileva che “gli Stati nazionali dovrebbero dare priorità all’uso personale e domestico dell’acqua al di sopra di ogni altro uso e dovrebbero fare i passi necessari per assicurare che questa quantità sufficiente di acqua sia di buona qualità e accessibile economicamente a tutti”. La risoluzione, pur non avendo valore vincolante dal punto di vista giuridico, segna un’importante tappa per la tutela del diritto umano all’acqua.

Per quanto riguarda l’ordinamento comunitario, la persistente ambiguità tra la considerazione dell’acqua come bene ambientale, come diritto dei cittadini e come bene economico ha spinto quasi due milioni di cittadini dell’U.E. ad avviare un’ iniziativa dei cittadini europei (ICE), denominata Right4Water, sulla base della quale, nel 2015, il Parlamento Europeo ha approvato una relazione diretta ad inserire il diritto umano all’acqua nella legislazione comunitaria, definendo obiettivi vincolanti per tutti gli Stati membri.

Questo breve excursus storico sul processo del riconoscimento del diritto all’acqua evidenzia come non esista ancora un vero e proprio diritto all’acqua.

3. I modelli di organizzazione della fornitura idrica (caso: Acquedotto Pugliese).

In Italia la fornitura idrica è un servizio pubblico, cioè è gestito dalla Pubblica amministrazione, al fine di garantirne l’accessibilità fisica ed economica, la continuità, la non discriminazione, la qualità e la sicurezza. In particolare, tale gestione è svolta dagli enti locali secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Per servizio pubblico locale s’intende la produzione di beni e attività dirette a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali (art. 112, comma 1, Testo Unico degli Enti Locali). I servizi pubblici locali di rilevanza economica:

  • la distribuzione dell’energia elettrica
  • la distribuzione del gas naturale
  • il servizio idrico integrato
  • la gestione dei rifiuti urbani
  • il trasporto pubblico locale.

Il Servizio Idrico Integrato (SII) è costituito da una molteplicità di servizi, quali:

  • la captazione (aspirazione) delle acque mediante pozzi oppure da sorgenti ed invasi;
  • la potabilizzazione;
  • la distribuzione agli utenti finali attraverso la rete delle tubazioni;
  • la raccolta degli scarichi fognari;
  • la depurazione;
  • la gestione dei risultati della depurazione: le acque ripulite dalle sostanze inquinanti vengono scaricate in mare o nei corsi d’acqua, mentre le sostanze inquinanti – i c.d.fanghi – vengono sottoposte a specifici trattamenti prima di essere smaltite o recuperate.

Pertanto, il SII è formato da due componenti: l’acquedotto – l’insieme delle opere e degli impianti necessari a produrre l’acqua potabile e a renderla disponibile – e la fognatura – l’insieme delle canalizzazioni e delle opere dirette a smaltire, lontano dai centri abitati, le acque superficiali (meteoriche e di lavaggio) e le acque reflue derivanti dalle attività umane.

Gli enti titolari della gestione del servizio idrico sono le Regioni, le quali lo organizzano sulla base di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), cioè porzioni di territorio come ad esempio le province, e ne individuando l’ente di governo. La delimitazione degli ambiti territoriali ottimali è determinata dalla Regione stessa sulla base del piano di bacino idrografico (per es.: localizzazione della risorsa idrica, vincoli di destinazione, localizzazione dei centri abitati, ecc.). In Puglia vi è un ATO unico, corrispondente, quindi, all’intero territorio regionale, il cui ente di governo è l’Autorità Idrica Pugliese, ente pubblico non economico rappresentativo dei comuni.

Tuttavia, l’affidamento della gestione del SII non può avvenire tramite legge regionale, ma è necessaria una legge statale, in quanto attiene alle materie della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente” che sono riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Relativamente alla Regione Puglia, il D.Lgs. 141/1999 assegna la gestione del servizio idrico integrato per l’ATO Puglia fino al 31/12/2018 all’Acquedotto Pugliese S.p.A, società a totale partecipazione pubblica con un unico azionista, dal 1999 il Ministero del Tesoro e dal 2002 le regioni di Puglia e Basilicata.

L’acquedotto pugliese è stato introdotto con la legge n. 245 del 26 giugno1902, ma la realizzazione dello stesso prese avvio concretamente nel 1906; solo nel 1915, con l’inaugurazione della fontana di Bari, sita in Piazza Umberto, di fronte al palazzo dell’Ateneo, l’acqua potabile arrivò finalmente in città. L’acquedotto Pugliese è il più grande acquedotto d’Europa, con i suoi 22.500 km di reti serve più di 4 milioni di abitanti della Puglia e di alcuni comuni della Campania. Le principali sorgenti di approvvigionamento si trovano tra la Campania e la Basilicata: le sorgenti dei fiumi Sele e Calore in provincia di Avellino, e gli invasi artificiali di Occhito, in provincia di Foggia, e del Pertusillo, in provincia di Potenza, cui si aggiungono circa 200 pozzi dislocati su tutto il territorio regionale.

Il servizio idrico, come tutto il comparto dei servizi pubblici locali, è caratterizzato da un mercato regolato (cioè un mercato in cui tutto è deciso da un’autorità), in cui un operatore monopolista opera in regime di esclusiva. Perché? Perché l’acqua potabile è un bene economico scarso e fondamentale per la vita dell’uomo e le reti idriche, dati gli elevati costi di realizzazione e manutenzione, non possono essere gestite in regime di concorrenza. In un monopolio naturale come quello dell’acqua potabile, si rende però necessario un intervento regolatorio da parte di un’autorità affinché siano forniti adeguati incentivi per realizzare gli investimenti infrastrutturali e i miglioramenti nella qualità ed efficienza del servizio. L’intero mercato, dal 2011, è sottoposto all’attività di regolazione e controllo di un’autorità pubblica, l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas ed il Sistema Idrico – AEEGSI. Tale autorità, periodicamente, delibera il Metodo Tariffario Idrico, cioè regola la metodologia che i gestori del Servizio Idrico Integrato dovranno seguire per la determinazione di cosa e quanto pagheranno gli utenti finali con la bolletta dell’acqua.

Nella determinazione della tariffa dell’acqua si applica il principio comunitario del full cost recovery (copertura di tutti i costi di gestione), cioè i consumatori devono contribuire, attraverso la tariffa idrica, alla copertura di tutti i costi di gestione sostenuti dai gestori, compresi quelli per gli investimenti. Quest’ultimo aspetto costituisce un incentivo ad effettuare investimenti che apportino un miglioramento del servizio pubblico.

La fattura comprende una quota fissa (€/anno) e una quota variabile (€/mc) per ciascuno dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione. La quota variabile per il servizio di acquedotto segue una struttura per scaglioni di consumo, prevedendo:

  • una tariffa agevolata, per consumi inferiori ad una data soglia;
  • una tariffa base;
  • tre tariffe di eccedenza, il cui valore cresce in misura più che proporzionale all’aumentare del consumo.

L’AEEGSI, cioè, coerentemente con il principio comunitario del “chi inquina paga”, ha previsto una progressività tariffaria volta a promuovere un uso efficiente dell’acqua attraverso il riconoscimento di maggiori “costi ambientali” connessi a un maggiore consumo di acqua.

Un aspetto particolare riguarda l’interruzione della fornitura di acqua in caso di morosità. Così come per ogni altro aspetto relativo al rapporto di fornitura tra gestore e cliente, anche questo è regolato direttamente dal gestore ed indicato nella Carta dei servizi. In linea generale, in caso di mancato pagamento di due bollette successive, il gestore potrà procedere alla sospensione della fornitura soltanto dopo aver inviato al cliente, per raccomandata, una comunicazione di messa in mora che riporti la nuova scadenza per pagare e la data in cui potrà essere effettuata la sospensione della fornitura. Il legislatore, tuttavia, ha previsto un’eccezione a tale regola generale: in caso di morosità, il procedimento di distacco non viene effettuato nei confronti di utenti a basso reddito, garantendo così una fornitura minima. Inoltre, l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, al fine di garantire l’accesso universale all’acqua, assicura agli utenti domestici a basso reddito, l’accesso a condizioni agevolate alla quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali – “bonus acqua”.Un aiuto del genere, ad esempio, è già applicato in Puglia, che ha previsto tariffe agevolate per famiglie che versano in particolari situazioni di difficoltà economica.

4. Le nuove frontiere dell’approvvigionamento di acqua potabile: le Case dell’acqua.

Le Case dell’acqua sono la versione moderna delle fontanelle pubbliche: esse erogano acqua potabile di qualità e danno ai fruitori la possibilità di scegliere tra quella liscia o frizzante, a seconda dei gusti.

Il fenomeno delle Case dell’acqua è nato per contrastare la diffidenza dei cittadini nei confronti dell’acqua del rubinetto, dai più ritenuta non buona e non sicura, diffidenza che, nel corso del tempo, ha spinto i consumatori a preferire l’acqua in bottiglia. Complice la crisi economica, unitamente ad una maggiore sensibilità ambientale, le Case dell’acqua hanno avuto un enorme successo, oggi ce ne sono più di 500 sparse sul territorio nazionale, più nel Nord che nel Sud, più diffuse nei piccoli centri di provincia che nelle grandi città. Si tratta in tutti i casi di acqua di acquedotto. L’acqua naturale è quasi sempre gratuita, mentre quella gassata (ottenuta con l’addizione di anidride carbonica a scopo alimentare) in certi casi è a pagamento: il prezzo è comunque modico, non si superano i 5 centesimi al litro. Il prezzo è giustificato dai costi di gestione che competono ai comuni, come quelli per l’energia elettrica o la fornitura di CO2 per renderla frizzante.

Si indicano, di seguito, i vantaggi dell’approvvigionamento tramite le Case dell’acqua:

  • economici, che consistono nella riduzione dei costi per famiglia per l’acquisto dell’acqua in bottiglia, nella riduzione dei costi per la raccolta e lo smaltimento della plastica da imballaggio;
  • ambientali, che consistono nella riduzione dei rifiuti plastici, costituiti dai contenitori di acque minerali, dal minor dispendio di energia e dalla riduzione di emissioni inquinanti per la produzione e il trasporto;
  • culturali, che consistono nella promozione di stili di vita responsabili e rispettosi dell’ambiente, nell’aumento di fiducia nei confronti dell’acqua pubblica e nella promozione di centri di aggregazione sociale.

Dal punto di vista normativo, il Ministero della Salute ha evidenziato come queste fontane pubbliche siano paragonabili a un pubblico esercizio di “somministrazione di bevande”, pertanto i gestori di tali punti d’erogazione d’acqua sono considerati a tutti gli effetti operatori del settore alimentare, soggetti quindi alla normativa relativa alla sicurezza alimentare.

http://castellanaonline.it/news/4847/acqua-alla-spina-a-castellana.html

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